CORO DI VOCI BIANCHE DELL’ARCUM diretto da PAOLO LUCCI
LUCI E SUONI DELL’ANIMA VOL. 1
Tra Otto e Novecento va costituendosi un corpus notevole di musiche destinate alle voci infantili: fuori e dentro il teatro per musica la voce bianca, la voce dei ragazzi potrà finalmente godere di quel riconoscimento identitario, di quel vero e proprio statuto d’arte cui senza clamore e a ragione aspirava da tempo. L’interesse dei grandi compositori appartenenti alla stagione moderna sbocciata sul declinare dell’età romantica e delle poetiche ad essa relate, darà sostanza e nutrimento a quell’identità, contribuendo con opere mirabili alla costituzione di un repertorio finalmente emancipato dalla soggezione nei confronti delle altre compagini corali, in primis nei confronti di quelle femminili. Paolo Lucci, fondatore e direttore a Roma del Coro di Voci Bianche dell’Arcum, ha da sempre assolto il compito precipuo di promuovere la conoscenza di detto repertorio, puntando con spirito di vero e inesausto ricercatore all’esplorazione interpretativa sia dei grandi capolavori arcinoti, sia delle innumerevoli pagine di grande pregio, molto spesso dismesse e obliate. La raccolta di musiche che compare in questi due CD nasce per l’appunto da quella ricerca e da quella esplorazione, condotte stavolta sui repertori di ambito europeo: accanto alla statura indiscussa dei compositori qui rappresentati, vanno pure menzionate le ragioni del cuore e il legame affettivo che il Maestro e i suoi cantori nutrono per tutti i brani riprodotti, diversi dei quali in prima registrazione assoluta, sicuramente tra quelli cui la dedizione nel corso del tempo ha maggiormente segnato la storia ultraquarantennale del coro romano.
La passeggiata musicale si snoda lungo i due secoli adiacenti di musica, l’Ottocento e il Novecento: la disposizione cronologica degli autori (da Schubert a Stravinskij, Vol. 1; da Hindemith a Davies il Vol. 2) agevola la percezione di un discorso in costante evoluzione, anche grazie al passaggio dall’esecuzione di brani solitamente destinati alle compagini corali femminili (più di rado solo maschili), sia pure già presenti nella letteratura discografica in esecuzioni affidate alle voci bianche, all’avvento di raccolte e brani nati sin da subito per le voci infantili, e dunque già riferibili alla stagione moderna del suono vocale chiaro, nuovo e inconfondibile.
Astro assoluto dell’età romantica, per taluni preromantica, Franz Schubert può vantare una predilezione non comune nei confronti della vocalità: la sua inimitabile capacità di dar voce a qualsivoglia testo, poetico e non, mediante la sua musica emerge anche nella scelta dei brani assai disparati che qui compaiono in successione: si vedano il canone a voci sole per l’inno alla bellezza di maggio (Wilkommen, Lieber schöner Mai), il luminoso ancoraggio pianistico a sostegno dell’intonazione di Der Psalm 23, e ancora le voci sole in Die Nacht nella trascrizione di Lucci dell’originale versione per voci maschili. A chiudere il capitolo schubertiano la Deutsche Messe composta a un anno dalla morte: otto movimenti per questi semplici e ispirati canti per la messa destinati in origine a un coro misto con accompagnamento di fiati, timpani e organo, e qui eseguiti nella trascrizione di J. Haas per coro di voci pari e organo. Il Crux! Hymne des marins appartiene alla produzione di Franz Liszt legata agli anni del soggiorno italiano e di più intensa devozione religiosa all’ombra della sacralità romana e del culto della polifonia antica: la frequentazione con il pontefice Pio IX procurò a Liszt l’aggiunta alle due strofe latine del testo della benedizione papale, pure rivestita di musica moderatamente marciante da parte del rinomato compositore ungherese. L’accostamento al brano listiano dei due lavori wagneriani ha una sua ragion d’essere nella vicinanza amicale e professionale tra i due compositori quasi coetanei: il Kinder-Katechismus zu Kosel’s Geburstag è una vera e propria rarità, un brano domestico e familiare, un augurio natalizio rivolto ai figli di Cosima Liszt, il cui nome viene scandito a viva voce nella coda del brano. Der Glaube Lebt dal I atto del Parsifal costituisce in assoluto la pagina più intensa e riuscita dell’intero repertorio per le voci bianche dentro il teatro per musica, cavallo di battaglia mai dismesso di tante formazioni storiche, tra le altre del Coro di voci bianche della Rai diretto da Renata Cortiglioni, antesignano del Coro di Lucci, a suo tempo di lei fanciullo cantore. C’è una sola meditata eccezione nella geografia non italiana di appartenenza di autori e brani presenti in questa pregevole raccolta: si tratta della tarda, per non dire ultima, pagina verdiana, le famose Laudi alla Vergine Maria, scarne nel loro contrappunto essenziale e perfetto, tradizionalmente affidate alla esecuzione da parte di cori femminili, malgrado la dicitura che compare nel manoscritto autografo non lasci ombra di dubbio sull’impiego delle voci infantili a cappella per l’intonazione del frammento attinto al Canto XXXIIII del Paradiso dantesco. Il che lascia pure riflettere sul significato di vero e proprio congedo che Verdi volle consapevolmente attribuire a questa pagina luminosa quale suggello del suo opus intiero. La stagione ottocentesca si chiude con l’altra stazione cruciale della vocalità romantica ed è Brahms il faro dell’altra metà del secolo, l’altro viennese, accanto a Schubert, a dirigere e promuovere la vocalità corale: i Drei geistliche Chöre per coro a cappella su testo latino (O bone Jesu; Adoramus; Regina Coeli) e i mestissimi Gesänge, percorsi da un diffuso sentimento della morte nell’intonazione accompagnata dai due corni e dall’arpa, appartengono allo stesso torno di anni e, pur destinati alle compagini femminili, si ascoltano qui, come da tradizione ricorrente in ambito viennese e anglosassone, nella versione per coro di voci bianche. Con il Noël des enfants qui n’ont plus de maisons, ovvero con l’unica pagina dedicata alle voci infantili di Claude Debussy, si apre la rassegna novecentesca e non a caso nel clima dolente del primo conflitto mondiale e con l’intonazione del Natale senza sorriso e senza casa dei bambini orfani di guerra, appena sospinta dal trepidante vagare dell’accompagnamento pianistico. Fancy, su testo dal Mercante di Venezia di Shakespeare, è l‘unica pagina di Zoltán Kodály a testimoniare in questa sede la dedizione di tutta una vita e la squisita abilità nel trattamento della voce corale, anche infantile, da parte del celebre maestro ungherese. Non poteva mancare un documento del gigante del Novecento, Igor Stravinskij, che, esule in Svizzera negli anni del primo conflitto mondiale, scriveva dedicandoli ai figli due deliziosi cicli di melodie accompagnate al pianoforte, Trois histoires pour enfants e Souvenir de mon enfance (dunque, non brani destinati alle voci bianche, cui pure ha fatto ricorso in celebri capolavori quali Sinfonia di Salmi, la Messa, Persephone). Stavolta è proprio la suggestione testuale, la semplicità e l’estro immaginifico dei testi prescelti da Stravinskij a guidare lietamente i giovani cantori nell’intonazione di queste melodie appartenenti al primo Novecento primitivista e modaleggiante, quello di Petrouchka e di Les Noces; diversamente, i coevi Quattro canti paesani russi sono per voci femminili a cappella (Stravinskij vi tornerà nel ’54, ampliandoli anche con l’aggiunta di quattro corni).